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A 50 anni dalla morte, Marcianise ricorda Clelia Tartaglione: simbolo della modernità e dell’emancipazione femminile, strappata alla vita a soli 24 anni

Correva l’anno 1967: in Vietnam gli Usa mandavano a morire migliaia di giovani soldati, decollava il primo Boeing 747, Gimondi si aggiudicava il 50esimo Giro d’Italia, i Beatles si attestavano come gruppo musicale mondiale mentre Claudio Villa e Iva Zanicchi vincevano il Festival di Sanremo con la canzone “Non pensare a me”. Erano gli anni del boom economico e per le strade di Marcianise correva anche una giovane, bella ed elegante donna che, a detta di tutti, ha rappresentato il simbolo dell’emancipazione femminile nel Sud Italia. Lei si chiamava Clelia Tartaglione e in quell’anno, il 23 di maggio, compiva esattamente 24 anni. In città tutti la conoscevano perché era l’unica donna, munita di patente, che sfrecciava, per le poche strade asfaltate, con la sua fiammante Giulia 1600 TI della Alfa Romeo. Clelia non poteva non essere notata perché era innanzitutto una donna e veniva da una famiglia agiata: il papà Alberto era un medico, direttore sanitario dell’Ospedale di Marcianise e lo zio, don Pasquale, era uno prelato molto colto e conosciuto praticamente da tutti in città. Gioviale di carattere, Clelia era una donna progressista, aperta e affabile con chiunque venisse in contatto. Rappresentava, a tutti gli effetti, una donna metropolitana che però viveva in una cittadina, prevalentemente contadina, dove gli echi della modernità arrivavano ancora molto flebili. Fumava e seguiva la moda dell’epoca avendo come riferimento il look di Mina che in quegli anni conduceva alla televisione il programma Studio Uno, il sabato sera sull’unica rete della Rai. Amava la musica talmente tanto che il signor Peppino Finelli, titolare di un negozio di musica ubicato sotto al campanile dell’Annunziata, ogni settimana le portava da Napoli le ultime novità discografiche di musica leggera. Non aveva intrapreso gli studi universitari ma aveva conseguito il diploma di lingua inglese alla British School di Napoli. Aveva tante amiche sue coetanee (Annetta Piccolo, Assuntina Scognamiglio, Angela Marello, Titina Foglia e Maria Cogliandro) ed era fidanzata con un suo coetaneo Roberto Argenziano.

Ma il 1967, l’anno in cui tutto correva veloce, compresa la nostra Clelia, fu anche un anno tragico molto vivo nella memoria di chi lo ha vissuto. Al ritorno da una gita a San Gregorio Matese, la nostra 24enne si sentì male: le mancarono le forze e iniziò a perdere sangue dal naso. Fu subito ricoverata per accertamenti alla Clinica del Sole in viale Manzoni a Napoli e la diagnosi non lasciò scampo: leucemia mieloide acuta. Il 29 luglio, dopo una settimana, fu dimessa e spirò, in una torrida giornata, tra le pareti di un’autoambulanza nei pressi delle curve di Ponteselice. Al funerale ci fu una partecipazione straordinaria. La città fu emotivamente coinvolta: era morta una giovane, bella e ammirata donna, strappata alla vita da un male fulminante. Il via vai a Palazzo Tartaglione, nell’omonima strada che da via San Giovanni Bosco si congiunge con il Corso Matteotti, era tale che fu necessario moderare la fiumana di quanti volevano tributarle l’ultimo saluto. Il carro funebre, trainato da otto cavalli, l’accompagnò nel suo ultimo viaggio per quelle strade di Marcianise in cui amava sfrecciare, con destinazione la cappella di famiglia del Cimitero Comunale. Dopo alcuni giorni dal funerale, il fidanzato di Clelia accompagnò Antonio Mandarino, artista naif di Marcianise, a casa dei genitori della defunta per declamare alcuni versi a lei dedicati provocando un pianto a dirotto della madre, la signora Alfonsina Cassandra. Lo sconforto del suo promesso sposo, Roberto, fu tale che poco dopo decise di cambiare vita trasferendosi in Svizzera. Lì, alcuni anni fa, è morto, lasciando due figli ai quali aveva voluto dare i nomi della sua Clelia e di Tullio (fratello di Clelia), a testimonianza di un amore ingiustamente interrotto di cui non volle mai dimenticarsi.

Nonostante siano trascorsi cinquantanni dalla prematura dipartita della cara Clelia Tartaglione, il ricordo è ancora vivo tra i suoi familiari, parenti amici e semplici conoscenti. In sua memoria verrà celebrata una santa messa il giorno 31 luglio prossimo, alle ore 18,00 nella Chiesa della Santissima Annunziata di Marcianise. (di Alessandro Tartaglione)

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Clelia (di Alfonsina Tartaglione, ricordo letto durante la messa del 31 luglio)

E’ singolare il fatto che sia io a parlarne, io che purtroppo non l’ho conosciuta. Ma è proprio lì il punto. Pur non avendola conosciuta è come se in realtà lo avessi fatto, e così è stato anche per molte delle persone che mi hanno scritto negli ultimi giorni.
La potenza della sua storia ha accomunato generazioni diverse che ho visto confrontarsi nelle ultime ore sui ricordi e sui racconti che la riguardano.

Ho saputo di Clelia da subito. Da bambina, appena ho cominciato a capire. Clelia tra l’ altro la porto anche nel mio nome. E’ il mio secondo nome. Alfonsina, Clelia. Così mi sono confrontata da subito con la sua storia ed è come se in realtà Clelia non ci avesse lasciati mai. Come averla conosciuta di persona. Generosa, gioviale, brillante, moderna, emancipata, che teneva in gran conto le amicizie, gli altri. Guidava, prima donna a Marcianise ad avere la patente, molti di voi lo hanno ricordato.

Certo, sarebbe stato molto bello vederla diventare moglie, madre, per vedere come avrebbe declinato anche in famiglia quello spirito di libertà che si portava dietro.
Il destino, il Signore, per chi crede, ha voluto per lei diversamente. Chissà che non sia perché Clelia era riuscita così giovane a centrare quello che lei era, voglio dire, a raggiungere la consapevolezza della propria identità, il che solitamente avviene un po’ più avanti negli anni.

E lei era avanti anni luce, qualcuno mi ha scritto, in una città che faceva ancora un po’ fatica a capire i tempi. A capire che per le donne soprattutto era ormai tempo di cambiare. E ognuno doveva avere consapevolezza di sé, del contributo che la propria persona poteva portare al progresso delle idee.

Se allora un insegnamento ho potuto ricevere dalla breve ed intensa esistenza di Clelia è quello di lavorare incessantemente per scoprire l’originalità della propria vita, della propria persona, il proprio stile, e soprattutto poi, promuovere quello dei giovani. Accompagnarli o meglio liberarli alla ricerca di sé.

Clelia guidava una Giulia della Alfa Romeo. E’ diventato un po’ il suo simbolo. Ma sapete qual era il colore? Blu tornado. Tornado come è stata lei, la sua esistenza, un tornado che si è abbattuto sulle nostre vite, sulle nostre strade, sulla nostra città e ha lasciato un segno così profondo che l’unica cosa che ce lo rende sopportabile è poterlo condividerlo con voi che l’avete conosciuta o che avete in qualche modo saputo di lei.

Allora io voglio ringraziarvi tutti, grazie da parte mia, e della mia famiglia per le parole che ci avete regalato tutti questi anni in ricordo di Clelia, e soprattutto, grazie a Dio, per avercela mandata.

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